Dighe, risorse o scempio ?
Da sempre le dighe hanno costituito un argomento di dibattito molto vivace e non solo in Italia. Lo sbarramento dei fiumi per la produzione dell’energia idroelettrica è stata una pratica che nell’ultimo secolo ha conosciuto una diffusione in tutto il mondo ed è stato un campo dove gli italiani sono stati maestri indiscussi.
I grandi e i piccoli bacini sono stati l’immagine stessa dello sviluppo industriale del nostro paese , specie nel secondo dopoguerra.
In Italia nel 2015 si contavano ben 541 bacini di competenza statale con altezza maggiore di 15 metri, distribuiti in tutta la penisola.
Pur non avendo strutture ciclopiche come la Hoover Dam o quella delle Tre Gole, il nostro paese vanta ad oggi una struttura tra le più alte, quella famigerata del Vajont che, benchè in disuso con i suoi 264 metri è la settima al mondo.
Proprio dalla tragedia che interessò questa struttura partono alcune delle considerazioni sull’utilità e sulla convenienza di queste strutture, che con i loro alti costi , sia economici che ambientali sono ciclicamente messe in discussione da varie parti.
Se i detrattori ne sottolineano costi e impatto ambientale oltre alla minor resa rispetto ad altre fonti energetiche, è innegabile che queste strutture, non finalizzate solo alla produzione energetica (è bene ricordarlo) abbiano rappresentato e rappresentino spesso notevoli opportunità per le comunità interessate e non solo.
Da quale parte sia la verità non è certo facile stabilirlo, considerati anche i numerosissimi fattori che concorrono a formulare un giudizio di convenienza o meno, non solo sotto il profilo meramente economico ma anche per l’impatto sociale e perché no, culturale.
Il dibattito è aperto.