Questo lago, più conosciuto sul territorio con il nomignolo popolare che deriva dall’odore sulfureo che emanano le sue acque o come laghetto di Capena, prende il nome proprio dall’antico toponimo di Leprignano che fino al 1933 identificava la cittadina stessa. Come anche altri laghetti del Lazio, anche questo ha la singolare prerogativa di scomparire per poi riapparire.
Il lago infatti è famoso fin dal medioevo per gli innalzamenti ed abbassamenti delle sue acque ad intervalli irregolari, anche se la prima datazione certa della sua comparsa l’abbiamo nell’ottobre del 1856 come si vede da un articolo dell’”Illustrazione italiana”. Scomparso nel 1900 riapparve poi trent’anni dopo. Questo fenomeno è causato da dei meati che si aprono repentinamente del fondo argilloso vulcanico ed è abbastanza frequente nel Lazio, come testimoniano gli esempi di altri due bacini della zona di Fiano Romano: Il Lago Nuovo (apparso nell’aprile 1895 come un imbuto profondo 19 metri e largo 250) ora colmato e il lago Sinibaldi (prosciugato artificialmente nel 1850).
Attualmente il lago si trova in una fase asciutta e le sue rive circondate da alti canneti e impenetrabili rovi, non sono facilmente raggiungibili e l’invaso è identificabile solo grazie al gracidio delle rane visto che la sua profondità non supera i 4 metri nel punto massimo.
La sua forma irregolare quasi ellittica, con un diametro di circa 100 metri, si perde nella bassa vegetazione circostante rendendosi difficilmente distinguibile. Sulle sue rive nidificano alcune specie di uccelli rapaci, ora forse disturbati dalla presenza di estesi campi di grano.
Nelle vicinanze, possiamo trovare i resti dell’antica Capena, che insieme con il Lucus Feroniae e Sepernas costituiva il nucleo urbanizzato dell’antica popolazione dei Capenati, grandi alleati di Vico contro Roma.